I vestiti nuovi dell’Imperatore

Cosa c’è di così affascinante nel voler essere ossessivamente al centro dell’attenzione? Cosa c’è di così gratificante nel vedersi avanguardia comunque, sia pure del nulla? Da giornalista quasi pensionato che si diletta di scritture di fantascienza, weird e ucronie, mi sono imbattuto più volte sia nel narcisismo, sia nei paradossi, e ormai mi sento abbastanza preparato a riconoscerne i sintomi, quando questi si manifestano. Ma andiamo per ordine.

Punto di partenza, il narcisismo. Non tanto quello patologico, quella distorsione di sé che porta ad abusare degli altri secondo la propria utilità, che comunque ce n’è molto in giro e come cantava Giovanni Lindo Ferretti, bisogna essere attenti per essere padroni di se stessi; no, mi riferisco al narcisismo che ti porta, magari giovane e ambizioso, o al contrario, vecchio e altrimenti dimenticato – e diciamolo, anche dimenticabile – a voler invece spalmare di te se non il mondo, la nicchia che hai eletto a tuo albergo.

Cosa c’è infatti più di nicchia della letteratura fantascientifica italiana? Lo ripeto, fantascientifica, e già qui qualcuno sospira, e quindi, italiana, e qui rischiamo di suscitare l’ilarità, oppure se non proprio, uno sbadiglio annoiato. Già, perché il mainstream letterario non ama il termine “fantascienza”. Gli preferisce “fantastico”, “onirico”, “weird”, e altre invenzioni che chi più ne ha più ne metta. Poi, l’aggiunta dell’aggettivo qualificativo, la provenienza nazionale: la fantascienza italiana. Ebbene, lasciando da parte Fruttero&Lucentini che a suo tempo ammazzarono l’infante nella culla asserendo che un disco volante mai e poi mai sarebbe potuto atterrare a Lucca, oggi le cose sono un po’ cambiate.

Grazie alla scoperta di una riga di talentuosi di genere, la fantascienza italiana si eleva al livello di discreto prodotto di intrattenimento. Non siamo, no, negli USA dove il genere è ancora fortunatissimo protagonista cinematografico e dove ci si divide tra pro-Nolan, pro Ridley Scott e pro-Villeneuve; siamo in Italia, dove pure però ci si azzuffa tra fan di Nolan, Scott e Villeneuve e comunque si ambisce alle stelle. E, disgraziatamente, in ogni senso della parola. Perché il punto non è proprio, come forse dovrebbe essere, impariamo a scrivere storie sempre migliori, che magari forse la Settima Arte si accorgerà di noi: è già successo, succede, tanto per citare di nuovo l’ineffabile Giovanni Lindo, che ogni tanto sul grande schermo, e meraviglia delle meraviglie, proprio nel nostro paese, escano storie sghembe che sono magari più weird o fantasy thriller. Oppure ancora, escono serie televisive, e Netflix mostra scenari che anni fa nessuno si sognava.

Giovanni Lindo Ferretti

Ed è qui che arriva il secondo punto, e cioè il paradosso: salvo poche, lodevolissime eccezioni, nessuno pensa a progredire tramite una letteratura di anticipazione scritta sempre meglio. Perché ciò che conta, abbiamo imparato tutti, è farsi vedere. E per farsi vedere cosa si fa? Si sgomita, si imbastiscono manifesti, si dà vita a movimenti. E sorgono puntuali sedicenti intellettuali organici a tali chimere, pronti a imbracciare l’eterna arma della propaganda per venirci a insegnare come le loro creazioni siano funzionali, alternativamente, a un’evoluzione stilistico-letteraria, a una rottura generazionale nel genere che lo porti al livello dell’invidiatissimo mainstream. E qui riprendono a suonare piatti e grancasse sotto le colonne dell’immarcescibile Tempio di Metaponto, luogo ideale di ogni italica logorrea.

E giù parole, parole, incontri, conferenze su Zoom e altri mezzi che la pandemia ci ha tristemente reso noti. Un inarrestabile profluvio tutto italiano, un Circo Barnum della chiacchiera volto a dimostrare che oh, sì, costoro, che poi si definiscono con un ambiziosissimo e maiuscolo NOI, ebbene loro sì che, con chiacchiere e distintivo (l’etichetta che si sono scelti) sono la Nouvelle Vague, quelli che hanno scoperto la Stele di Rosetta del genere, quelli che lo rivoluzioneranno e lo rilanceranno, e tutti assorbiranno, o perlomeno tutti quelli che loro decideranno essere adiacenti. Conformi. Ma conformi a chi? Conformi a cosa?

E però, attenti: siamo, per l’appunto in Italia, e infatti già si vedono all’orizzonte, affannarsi le prime reclute, rincorrere il nuovo carro per balzarci sopra. Hai visto mai. Dalla mia ridotta le vedo del resto anche io, pronte al contrattacco con elmi e armi nuove.

Gli altri, quelli che non si affrettano o che rimangono proprio fermi, bè, quelli non contano. Non hanno mai contato.

Di nuovo: è già successo, succede, accadrà di nuovo. L’ambizione è una molla fortissima, e in un ambiente piccolo come la letteratura di anticipazione italiana, figurarsi. L’ho visto succedere una manciata di anni fa, con una corrente che, un po’ come i Borg, ambiva assimilarci tutti. Si assume che una lobby possa affermarsi meglio che un singolo, e questo è tristemente vero, ancora oggi. Ma da qui si parte per un’impossibile, per l’appunto, paradossale, guerra contro i mulini a vento, fare del genere, ancorché scritto ancora in modo non adeguato, un pari grado dell’odiato e insieme bramato mainstream. Oh, avere un appuntamento annuale come lo Strega, bearsi del ruolo di Intellettuale e Autore…

E’ vero anche questo, il mainstream e la dinamica dei premi letterari più importanti – e non solo – dimostra come lobby+promozione sia il binomio alchemico perfetto per renderti famoso. Perché, una volta costruita a tavolino la tua fortuna, ti si intervisti, oh gioia, sul giornale. Tuttavia, per arrivarci, devi lavorare come un pazzo sui tuoi mezzi espressivi. Il mainstream vuole libri scritti bene e idee forti. Invece, al medesimo binomio di cui sopra, lobby+promozione, per quanto riguarda il genere, mancano ancora, nella maggior parte dei casi, talento e buona scrittura. Ma chi ha ambizione in compenso non difetta di aggressività e, come ci hanno insegnato gli ultimi anni, un concetto di qualsiasi tipo, ancorché immaginario, basta ripeterlo abbastanza, ed eccolo lì, si materializza. Ecco dunque la ricerca ossessiva del label e la sua promozione a tamburo battente.

Siamo poi in Italia. Tutto è politica, e tutto si vorrebbe sublimare in essa. Compreso il genere. Ci si illude di fare quello che nemmeno Kim Stanley Robinson ha inteso compiere o è riuscito a fare e che David Brin fa da solo: creare una corrente di pensiero, un movimento di autori di nicchia che influisca sulla gestione delle politiche ambientali del suo Paese. Ci si illude che bastino due parole d’ordine, qualche riconoscimento, una riga di conferenze via web e magari un’antologia di racconti, per mostrare il fatto loro al colto e all’inclita. E comunque, quanto al target, stiamo parlando di un ambiente ormai mite, se non senile, e se mai abituato alle polemiche fra singoli: veder emergere una fazione di Rambo pronti a stenderti sotto i cingoli della loro Buona Novella un po’ intimidisce. Meglio ritirarsi in buon ordine, lasciare il campo.

Facile, no? D’altra parte, non è accaduto a un banchiere di assurgere, ultimamente, al ruolo di Salvatore della Patria? E non è successo, ancora prima, a un furbissimo imprenditore, di ridare vita alle aspirazioni frustrate di un intero ceto medio fino a portarlo ai vertici, stravincendo elezioni e diventando il padrone d’Italia? Basta dire, l’Italia è il paese che amo. Definirsi nonno delle istituzioni. Affascinare, stregare, carpire le speranze. Inondare di fiumi di parole. Prima o poi i più, entusiasti, abboccheranno, se non altro per speranza di avere finalmente agganciato il treno giusto, e quasi tutti diranno, ah sì, vedi? Sono loro. Loro chi? Ma come, non lo sai? Sono Loro.

Facezie a parte. Siamo il paese dei parvenus. Dei lei non sa chi sono io. Dei ma davvero non ha letto il Mio Ultimo Romanzo? Di quelli che sono “quelli là” e gli altri zero carbonella. Siamo il paese di quelli che un giorno sfileranno, fieri e orgogliosi dei loro abiti nuovi di zecca, perché tanto nessuno degli “altri”, intimiditi da tanta sicumera, oserà dire che invece sono tutti nudi. Salvo un marmocchio, quello più indisciplinato di tutti, ma tanto quello lì, ben curvo e canuto, ormai è insieme agli altri umarell davanti al cantiere.








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Fantascienza, ucronia e altre stranezze di un dilettante
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