Sanremo come Youporn

Finalmente ci sono arrivato, dopo anni di inutile spocchia e critica da maestrino con la penna rossa: Sanremo è come Youporn. Perché mi chiederete? Non tanto per quanto talvolta viene proposto, tipo l’ormai celeberrima esibizione inaugurale di qualche giorno fa, Achille Lauro che si autobattezza al termine di uno show in cui dopo aver sussurrato una dimenticabile canzone si era già sfiorato pettorali, addominali e – con meno discrezione – l’inguine.

No, non è tanto questa performance, che discende da quelle più antiche di Jim Morrison o di Billy Idol. In realtà Sanremo è come Youporn per la galassia assolutamente eterogenea e insieme sempre uguale che viene proposta ogni sera.

Un frullatore micidiale, in cui senza soluzione di continuità, proprio come le copule in quei video, entrano il razzismo, i diritti lgbt, la lotta alla mafia, Mattarella, insomma, proprio tutto. E tutto si mescola, si amalgama, in un colore indefinito, in un pastone indefinibile e quasi spermatico, da cui a tratti emerge Orietta Berti vestita da coronavirus, quell’altra sciagurata che gorgheggia con le mani, con il culo, il barbone da profeta laico di Saviano, l’insostenibile leggerezza metapontina di Zalone, Amadeus che strabuzza gli occhi o si sbellica dalle risate – anche troppo forzate – all’evitabile e autoreferenziale monologo di Fiorello.

Insomma, una sorta di gorgo micidiale, che di volta in volta assomiglia a un orizzonte degli eventi o al mulinello dell’acqua nello sciacquone. Un vortice che affascina, invariabilmente, chiunque, perché fabula de te narratur, Sanremo è il buco nero, e dunque la metafora dell’Italia: è l’ascensore dentro il quale ci sei magari tu insieme con un medico e una cassiera che litigano sull’esistenza effettiva del covid o sul distanziamento, è quel tipo che va di casa in casa a suonare i citofoni in cerca di uno spacciatore, è la giovane di successo che ci racconta di come ha scoperto che quel che conta è il colore della pelle, è, o mamma, ma quell* è uomo o donna, è il Freak show ma anche la Missa Solemnis e Irina Palm, stare zitti e buoni quando è il momento e il parterre lo impongono, è dirsi cattolici osservanti ma insomma, Achille Lauro – e torniamo al principio – in fondo non ci offende. Ma dobbiamo dirci comunque cattolici osservanti, e piegare almeno un ginocchio, perché stiamo su RaiUno, e c’è il vescovo che se ne duole, e a noi certo che ce ne cale.

E dunque Sanremo piace, intriga, attira anche i perplessi e i disgustati – tra cui il sottoscritto – proprio perché è tutto e il contrario di tutto, strizza l’occhio alla trasgressione onanistica e insieme si apre alla società civile. Poi però ti accorgi che, sia la trasgressione, sia l’apertura civile Sanremo le pratica allo stesso modo, e cioè stile Grande Fratello, vale a dire guardando dal buco della serratura. Tutto diventa così un reality senza fine, in cui la casalinga di Voghera – ma non solo lei – tiene acceso fino all’una di notte nella speranza che il giovanotto tatuato finalmente mostri la sua dotazione virile, ché se tanto mi dà tanto, signora mia…

Sanremo dunque peep show, gloryhole, YouPorn buona per tutti, banalizzazione di ogni cosa, compresa la religione, la democrazia, le istituzioni, i diritti civili. Cinque serate franche in cui in tv può passare ogni cosa, nel nome dello spettacolo e dello share. Potranno mai avere torto dieci milioni di spettatori a botta? Stacce, dai.

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Fantascienza, ucronia e altre stranezze di un dilettante
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