Cambiare idea. Ma anche no

imperatoreLo confesso, prima di iniziare a scrivere questo post mi vergognavo un po’. Un po’ perché fare il bilancio di un anno di rimuginamenti e borborigmi mentali mi è sempre apparso futile e autoreferenziale. Un po’ perché ammetto di essere schiavo della mia ostinazione, che spesso cerco di spacciare per coerenza. Insomma, scrivere di avere cambiato idea su alcuni caposaldi di quest’anno a me, Prometeo ipotetico, appariva un po’ come abiurare a degli imperativi esistenziali e quindi trasformarmi in un più banale Don Abbondio. Poi, però, mi sono detto, ma chi se ne frega per davvero, i problemi della vita sono ben altri che perdere ipoteticamente una faccia ancor più ipotetica, se mai effettivamente esistita. Lasciamo queste preoccupazioni ai malati di fighismo. E ordunque.

thCominciamo con quello che è forse il romanzo più discusso dell’ultimo trimestre, quell’Impero Restaurato di Sandro Battisti che all’autore deve continuare a fruttare dei ronzii auricolari e dei tinniti niente male. Recensioni sarcastiche sui social, battute al limite della caserma su certe discutibili scelte stilistiche o ideologiche, il tutto che forse si può sintetizzare nell’ammirevole contributo che qui vi linko. Anch’io, confesso, pubblicano tra i pubblicani, fariseo tra i farisei, mi unii alla lapidazione, invocando il test di Bechdel per il Battisti che ci propone una protagonista femminile, l’imperatrice Teodora moglie di Giustiniano, schiava del sesso elefantiaco dell’altro protagonista imperiale, il Connettivo Totka, il nephilim che si esprime come Vittorio Gassman o Carmelo Bene quando recitavano Dante o come Thor quando parla in runico.

Sbagliavo. Signore e signori, lo ammetto. Ma come ho fatto, o Candide redivivo,  a non capire che il vero bambino che indica le nudità dell’Imperatore vestito di nuovo è proprio quel Battisti che nel 2015 ci propone un romanzo volutamente provocatorio, illeggibile, sessista, pompier, autoreferenziale, marinettiano, ombelicale? Proprio come fece il grandissimo Lou Reed con Metal Machine Music tanti anni fa: alla faccia dei critici americani che lo massacravano comunque, proporre un pastiche, un blob di suoni inascoltabile. Beccatevi questo e adesso analizzatevelo un po’. Così ha fatto Battisti, destinando la sua opera a tutti i nasini storti della sf italiana, per provare che basta una provocazione ben congegnata – e la sua lo è davvero – per svettare sopra un panorama di miserevoli macerie. E onore a Giuseppe Lippi, che tale grido di orgoglio e dolore ha raccolto e – non lapidatemi! – giustamente premiato. Di meno si comprende l’associazione de l’Impero Restaurato al più convenzionale Bloodbusters dell’ottimo Francesco Verso, ma la sf italiana oggi è così: qualche buon autore, a tratti anche qualche ottimo autore e poi il deserto, sul quale si pianta il fulgido vessilo di Battisti, che a questo punto può davvero assurgere a caposaldo storico del genere, proprio come quelle quattro facciate di rumore puro confezionate da Lou Reed o l’ancor più discusso Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo. Una preghiera: nell’approcciare L’Impero Restaurato fate come me: a un certo punto mettete da parte l’irrefrenabile voglia di pernacchia che vi darà e trasformatela in stimolo, in solletico: siate un po’ zen, vi divertirà un mondo. A un certo punto, se sarete in pace con voi stessi e l’universo, vi sembrerà di girare qualche pagina del vecchio Frigidaire, con un Totka che a tratti assomiglia parecchio a RanXerox.

Primo petalo strappato, primo debito d’onore saldato.

ancillary_1b8a3367be3348eb1c36a41bd0e8c2563decdbfa-s6-c30E adesso veniamo al secondo petalo, che per me vale un’intera fioriera: il ciclo ancillare di Ann Leckie. Altro pasticcio pressoché illeggibile, e con in più la presunzione, assente in Battisti, di volerci fare una morale gender facendoci guardare a uomini e donne con gli occhi di una IA, per l’appunto un’intelligenza che non riesce a distinguere tra i sessi dei suoi interlocutori, perché per essa la differenza è irrilevante. Non ho bisogno del predicozzo politically correct, mi sono detto subito, irrigidendomi come mio costume di fronte a quella che spesso mi appare come aggressività esterna.

Insomma, mi attacchi e mi catechizzi? Manco mi conosci e mi dai (quasi) dell’omofobo? E io ti prendo a calci nel sedere. Di qui la mia avversione a pelle per Leckie e tutti coloro che le sono andati dietro entusiasti nel commentare, oh, sì, ancora, ancora, dateci altri periodi incomprensibili in cui ti perdi fra soggetto, io narrante, punto di vista, uso del pronome accusativo e altre futilità della lingua inglese come di quella italiana. Che importanza ha? L’essenziale è far passare il concetto che il nostro mondo, specie quello italiano, è anni luce indietro rispetto all’uguaglianza dei sessi e che un romanzo di space opera finalmente rompa questo velo proponendo eroi la cui collocazione nella sfera dei generi vada sovvertita. Se ti piacerà il ciclo ancillare della Leckie, sarai insomma un vero progressista e soprattutto un figo. L’equazione del figo-comunismo insomma per me era completa. Non capivo il genio della Leckie, ero fuori dai giochi e mi si poteva pure criticare per passatismo e conservatorismo, rimettendomi allegramente in quel ghetto dove qualcuno mi aveva cacciato quando osai scrivere romanzi ucronici sul fascismo.

Sensibilizzato da questo trattamento, lo ammetto, mea culpa, errai nel giudicare solo politically correct Ann Leckie. Non allo stesso livello del pirotecnico Battisti, l’autrice americana cerca convinta la provocazione, ma soprattutto la sperimentazione. Potrà essere pesante, ma lo sforzo letterario c’è, trovare una via per descrivere il punto di vista di un’intelligenza non umana. E questa, signori, è fantascienza. Una sfida che non riesce sempre, d’accordo, il romanzo è pesante, pretenzioso, a tratti strizza l’occhio a una Lois McMaster Bujold che di certo era più convenzionale ma molto più abituata a una narrazione diretta, accattivante e soprattutto non ideologizzata.

E tuttavia con questi petali-fioriera sono arrivato a una conclusione: che se Battisti parla una lingua che, sia pur a condizione di ascendere all’Empireo, a tratti la mia modesta sospensione dell’incredulità può consentirmi di comprendere per assonanze – un po’ come un remigino può sillabare l’Ulisse di Joyce – Ann Leckie tenta di costruire una lingua mai parlata dal genere sf; operazione che sposta il livello del ciclo ancillare su un piano letterario completamente diverso. Sforzo immane quello di entrambi gli autori, insomma, creare un collegamento fra cultura alta e letteratura popolare e proprio per questo da segnalare come squillo significativo di questo 2015, altrimenti davvero noioso per gli appassionati del genere che ci piace di più.

Dimenticami-Trovami-Sognami-Cop-663x900Con un’eccezione, che però per me è fuori tema oggi perché non ho mai cambiato idea su questo romanzo: Dimenticami, Trovami, Sognami di Andrea Viscusi, opera complessa e insieme semplice, piccolo grande capolavoro dickiano ed eganiano della fantascienza italiana, che avrebbe bisogno di una traduzione adeguata per conquistare finalmente il successo internazionale che merita.

Come ogni margherita sfogliata che si rispetti, rimane però un unico petalo superstite che spero di sfogliare prima o poi: con Giovanni De Matteo ci siamo lasciati proprio male. Un po’ per colpa mia, torno ad ammetterlo, sono un rissoso e un rigido su alcune questioni che mi paiono di principio, e certi suoi toni e atteggiamenti mi sembrano tuttora ben sopra le righe. Colpa mia, dunque, quella di stare sempre alla ricerca del pelo nell’uovo, troppo animus pugnandi, di sicuro, ma colpa anche un po’ sua, forse, se ci rileggiamo a mente fredda ciò che fu scritto giusto un annetto fa, compresi certi suoi giudizi un po’ paternalistici e addirittura la “damnatio memoriae” che si può trovare tra i commenti di questo articolo. Ma chissà, magari un giorno si riuscirà di nuovo a comunicare in modo tranquillo e sereno, facendo entrambi qualche passo indietro.

Insomma, un anno denso di letture, pareri, opinioni, riflessioni. Nella certezza, mai abiurata, che alla fine solo storie scriviamo e solo di storie parliamo. Nessuno si offenda, e buon anno.

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