La fine di tutto?

Dal 24 febbraio scorso questo mondo non è più quello che conoscevamo. L’invasione russa dell’Ucraina ha cambiato completamente la percezione che avevamo di noi stessi e del nostro futuro. Nello stesso tempo altre cose non sono cambiate per nulla. Ma andiamo per ordine.

La Russia ha attaccato in nome di quelli che sono ormai i suoi fari ideologici: l’eredità malata dell’URSS, il sogno egemonico trasmutato dal sovranismo e dall’ideologia personale del suo leader, Vladimir Putin. Un uomo che in vent’anni di potere pressoché assoluto ha costruito un massiccio involucro che posa sulle pietre angolari dell’oligarchia economico-finanziaria e della Chiesa ortodossa russa.

Patrimonio comune di questo blocco economico-ideologico, il nazionalismo, lo sciovinismo, l’odio per ogni forma di globalizzazione che cerchi di guardare oltre i valori tradizionali. Ed ecco, sotto l’involucro, al di là delle roboanti impalcature, spuntare vecchi cancri: razzismo, omofobia, culto della forza, in una parola, il fascismo.

Un fascismo che cerca di stroncarne un altro, quello ucraino, perché dal 2014 le popolazione russofone del Donbass sono state sottoposte ad arbitri e massacri e tentativi di pulizie etniche. Così come ora le artiglierie russe fanno strazio di ucraini. E’ una sporca guerra nazionalista, fascista, imperialista, accesa dalla paranoia americana di voler contenere la Russia in una cintura di paesi membri della Nato, ma pianificata, elaborata e condotta da Vladimir Putin nella certezza che nessuno sarebbe intervenuto a difendere l’indipendenza di una pedina alla fine insignificante come l’Ucraina.

Una pedina che tuttavia ha resistito e resiste con forza all’invasione, mette in difficoltà il nemico che, pian piano, con il montare delle sanzioni occidentali, il ritiro delle multinazionali commerciali e finanziarie, si isola, cominciando dal bandire il termine stesso di “guerra” per ciò che sta facendo, poi blinda i mezzi di informazione, chiude quelli non grati e infine si ritira perfino da internet, nel tentativo di ogni totalitarismo di chiudere i contatti con la realtà. Ritorna così ciò che era dopo la caduta del comunismo, un gigante dai piedi di argilla, benché superarmato, ma forse ben presto non più in grado di rifornire i suoi imponenti mezzi militari già in campo. Poco conta in questo contesto scandalizzarsi per le stragi: nel Donbass i diritti umani vengono ormai violati con sistematicità da quasi dieci anni. Colpisce, di sicuro, l’aspetto punitivo della spedizione militare, l’accanirsi delle artiglierie, il desiderio di annientare.

E non si vede come questa Strafexpedition possa fermarsi, se non per ordine di chi l’ha dichiarata, e che magari, vista l’impotenza degli avversari, può essere tentato di allargare ancora, sotto il ricatto dell’incubo nucleare e dei bombardamenti terroristici. O magari sotto l’incubo ancora peggiore di essere costretto a nuclearizzare in prima persona uno scenario che con i mezzi convenzionali non riesce a dominare. Avanzare sempre, alzare sempre più l’asticella per sopravvivere. Sterminare per vincere, uccidere per non essere ucciso.

Se questo è il quadro che mi sono fatto della situazione, diverso è il tema che specie da noi mi appare venga sottolineato ogni giorno, la polarizzazione in due schieramenti, i pro e i contro Putin, sulla base di due narrazioni contrastanti che non accettano compromessi. Alimentati dai social, che negli ultimi anni hanno defattualizzato ogni evento riducendolo alle sue diverse versioni, stuoli di ex combattenti da tastiera si stanno riciclando dalla guerra dei vaccini alla negazione della guerra stessa: qualcuno ha azzardato che l’invasione brutale del 24 febbraio fosse l’ “inizio della liberazione dell’Ucraina”; altri hanno attribuito agli ucraini la responsabilità diretta delle stesse atrocità che qualcun altro stava e sta materialmente commettendo; altri ancora hanno spostato l’attenzione sui torti della Nato e degli Usa; una piccola, ma agguerrita fazione ha santificato infine l’estrema destra ucraina e la sua tetra simbologia guerresca. Non diversa invero da quella delle bande cecene che affiancano truppe russe ben lontane dall’immagine granitica che si aveva dell’Armata Rossa. Un’Armata Rossa che diventa dunque Armata Nera, meno efficiente ma molto più spietata e sanguinaria di un tempo.

Ma in Italia come altrove impazza il risiko social e l’analisi strategistica – non strategica, si badi bene – condotta dagli stessi che appena un mese fa si lanciavano nella guerra senza fine tra vax e no vax. Su tutto incombe un’aria tetra da conclusione epocale, oltre la quale c’è solo il peggio, anzi il Peggio, ad attenderci. Cupe vampe da Mariupol, Kiev e Kharkiv. Cupe vampe che consumeranno anche noi. Di sicuro, i nostri intelletti in pezzi e chissà, presto forse anche i nostri corpi.

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Fantascienza, ucronia e altre stranezze di un dilettante
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